Il vincitore dell’Amérique che si salvò dall’olocausto
Parigi domenica 19 gennaio 1936 si svegliò sotto una pioggia gelata che sarebbe continuata a cadere ininterrottamente sino a sera, infradiciando strade e passanti. La pista di Vincennes, che quel giorno ospitava l’Amérique, era ridotta ad un insidioso tracciato di fango e una selva d’ombrelli sbocciava in tribuna. Muscletone, l’americano di scuderia italiana che l’anno precedente aveva dominato la corsa al record di 1.23.8 sui 2625 metri e che avrebbe poi comunque replicato l’anno successivo, sembrava imbattibile, nonostante fosse costretto, come dodici mesi prima, a rendere un nastro.
Alla carta il 5 anni di Finn poteva temere un solo avversario, il coetaneo Javari. Quel giorno lo stato del terreno risultò determinante: il portacolori di Arturo Riva, leggero e dall’azione aerea, non si ritrovò, al contrario del massicco avversario che prese la testa per imporre ritmo in modo di togliere lo spunto al rivale. Muscletone risalì tutto il gruppo, ma senza poter mai avvicinare Javari che concluse solitario.
Il popolo di Vincennes, inizialmente ammutolito, andò in delirio: l’ultimo trottatore francese ad aver vinto l’Amérique era stato Templier, sette anni prima, in un’edizione peraltro solo autarchica. Marcel Perlbarg, il driver del vincitore, fu portato in trionfo e i festeggiamenti durano dei giorni, nei locali di Montparnasse, nel quattordicesimo arrondissement dove il driver era nato nel 1903.
Ottantotto anni fa Parigi, nonostante le tensioni che cominciavano a serpeggiare tra le nazioni europee e che avrebbero portato al disastro della guerra, viveva ancora in una sorta di limbo, con i suoi caffè affollati, i circoli letterari, le avanguardie artistiche e le scampagnate fuori porta. L’ippica era in auge e anche il trotto, che aveva trovato in Vincennes il suo più naturale palcoscenico, richiamava già migliaia di spettatori nelle domeniche del meeting d’hiver.
Erano, quelli, gli anni in cui si andavano consolidando le grandi dinastie di allevatori, proprietari e guidatori, quasi tutte provenienti dall’aristocrazia fondiaria o dalla ricca borghesia agricola della Normandia e della Mayenna. Il parigino Perlbarg era quasi una mosca bianca in quell’ambiente, anche perché di ceto modesto. Il padre, infatti, era un piccolo commerciante di cavalli e vetturino.
Marcel si avvicinò al mondo del trotto verso i vent’anni decidendo di trasferirsi nei pressi di Rouen per imparare il “mestiere”, ma soltanto dopo il servizio militare la sua carriera cominciò a prendere corpo: piccolo e minuto, era impiegato più che altro come jockey al montato. Qualche buon risultato lo spinse verso Vincennes, dove fu preso a ben volere da Albert Gouin, allora tra gli allenatori di punta. Perlbarg, che aveva polso fermo e mani delicate, in poche stagioni mise assieme un palmarès di tutta importanza, sia al montato che al sulky: oltre all’Amérique di Javari mise la sua firma su Critérium dei 3 e 4 Anni, su tre Prix de Vincennes, Président de la Republique e Cornulier.
Lo scoppio della Guerra destabilizzò anche il mondo del trotto: Perlbarg, come tanti suoi colleghi, fu chiamato al fronte. Il suo battaglione d’artiglieria fu tagliato fuori dall’avanzata tedesca e Marcel, preso prigioniero, fu trasferito in un campo di lavoro in Germania, il cui direttore, il colonnello Steiner, si rivelò un grande appassionato di trotto. Marcel, grazie a Steiner, che pochi mesi dopo sarebbe stato arrestato come antinazista, fu trasferito all’ippodromo Mariendorf per entrare nelle maestranze di Charley Mills, che la guerra aveva rarefatto, allora attivo in Germania e idolatrato dai tedeschi per aver portato alla vittoria il “loro” Walter Dear nell’Amérique del 1934. Il guidatore parigino rimase due anni a Berlino con il grande professionista d’origine irlandese. Mills, sfruttando le sue conoscenze, trovò infine il modo di farlo liberare. Tornato a Parigi nei primi mesi del 1944 ricominciò a guidare e a vincere, suscitando l’invidia di qualche collega. Una lettera anonima lo denunciò: Perlbarg era ebreo. La Gestapo lo arrestò trasferendolo nel campo di transito di Drancy, a nord est di Parigi, in attesa di essere indirizzato in un vero campo di sterminio. Il trasferimento tardò per il precipitare degli eventi. Il 25 agosto di quell’anno Parigi fu liberata dall’oppressione nazista e anche le porte di Drancy si aprirono per le migliaia di internati.
Marcel Perlbarg riprese la sua professione, con mano sempre più calda, vincendo altri sette Critérium, altri due Prix de Vincennes, un altro Président de la République, più due Normandie, alternando la sua sapienza tra monté (nella cui specialità era un vero maestro) e sulky, sino al 1963. Quell’anno nel giro di sei mesi rimase coinvolto in due gravi incidenti di corsa, nel primo rischiò addirittura la vita restando schiacciato sotto il suo cavallo. Rimessosi a fatica, questo piccolo grande uomo abbandonò progressivamente la professione per spegnersi all’età di 91 anni, giusto trent’anni fa, nel 1994.
Perlbarg è entrato a pieno diritto nella storia del trotto per il suo grande talento e per le tante ardue prove che è stato chiamato a superare. Ma sarà ricordato anche per essere stato l’uomo che ha preferito privarsi di Gélinotte, uno dei miti del trotto mondiale, di cui è stato lo scopritore, per affidarla a Mills, che dopo la guerra si era trasferito in Francia, perché solo Charley, secondo lui, sarebbe stato in grado di incanalare una forza così esplosiva.
Ezio Cipolat